Una prison movie dei fratelli Taviani, da collocarsi nel genere dei docufilm. Carcere di Rebibbia. Roma. Sezione di alta sicurezza. Come ogni anno iniziano i provini per dare il via al laboratorio teatrale. Fabio Cavalli riveste il suo ruolo: regista e referente artistico del progetto del teatro a Rebibbia. L’opera che presenta ai detenuti è il Giulio Cesare di Shakespeare. Gli attori sono scelti tra i carcerati che si presentano ai provini. In quest’occasione i ruoli principali vengono dati a Giovanni Arcuri che interpreterà Giulio Cesare, Cosimo Rega che sarà Cassio, Sasà Striano che vestirà i panni di Bruto e Antonio Frasca quelli di Marco Antonio e per finire Juan Bonetti che sarà Decio ed Enzo Gallo il musico. Ognuno di loro reciterà nel proprio dialetto. I detenuti del Giulio Cesare sono a Rebibbia per scontare condanne che vanno dai quindici anni a fine pena mai, come Enzo Gallo e Cosimo Rega. Le prove cominciano e gli attori si appassionano a tal punto alla tragedia che la loro vita carceraria e quella fantastica, vissuta nella Roma del I secolo a.C., si confondono. Finzione e realtà rompono gli argini anche per gli spettatori, che durante la visione finiscono per non comprendere più dove inizi l’una e s'interrompa l’altra e viceversa.
Durante le riprese/prove vengono fuori le difficoltà di certi rapporti umani, ma anche la capacità di condividere, partecipare, sentire insieme. Bruto è il più coinvolto di tutti. È lui il vero protagonista di questo spettacolo ed è lui, Sasà Striano, che più di ogni altro entra nel personaggio come una mano in un guanto. Si aggira per Rebibbia ormai libero di essere se stesso, di raccontare al mondo l’animo nobile di un assassino che uccide in nome della libertà. Gli altri detenuti lo guardano perplessi. «Al posto di farsi la galera seriamente si è messo a fare il buffone», dicono. Ma Sasà non se ne cura, fa vivere Bruto come soltanto un altro Bruto potrebbe fare. Il carcere diviene un grande palcoscenico e tutti sono coinvolti, persino i secondini che stanno ad ammirare i detenuti mentre provano la scena dell’uccisione di Cesare. Poi il processo romano: Bruto e Marco Antonio parlano ai cittadini di Roma, agli altri detenuti. Bruto spiega il perché del suo gesto assassino: «Se poi questo amico mi domanda Perché Bruto è insorto contro Cesare?, ecco la mia risposta: “Non perché poco amassi Cesare ma perché molto amavo Roma”. Avreste preferito Cesare vivo e noi morti in schiavitù o Cesare morto e noi vivi in libertà? Mi amò, Cesare, e per questo lo piango, gli arrise fortuna e ne sono lieto, fu coraggioso e io lo onoro, ma fu ambizioso e per questo l’aggio accise!». È un’ovazione. L’assassinio è spiegato, compreso. Ma ancora deve parlare Marco Antonio. E tutto è rimesso in gioco. Cesare forse non aveva velleità tiranniche e di fatto amava Roma e i suoi cittadini tanto da aver lasciato in eredità a ognuno di loro tutti i suoi beni. A morte Bruto, allora; a morte chi ha ucciso il buon Cesare. In Grecia, alla Piana dei Filippi, si svolgerà la battaglia finale. Entrano i parenti. Il palco è allestito e gli attori mettono in scena la tragedia shakespeariana. La Battaglia dei Filippi ha luogo. Alla fine il cesaricida si fa uccidere da Stratone.
Bruto, l’assassino, Sasà Striano, il detenuto, chiunque egli sia, comunque, trionfa. A lui il pubblico tributa gli onori e gli applausi, perché le sue ragioni sebbene non condivisibili appaiono comprensibili. Poi le porte delle celle. Il grigio ferro che li chiude al mondo. Le chiavi che girano nella toppa che li sottrae alla vita. Fine pena mai per Cassio, Cosimo Rega, che dopo aver lasciato i panni del congiurato ed essere rientrato nello spazio minimo che Rebibbia gli ha riservato, afferma tristemente: «Da quando ho conosciuto l’arte ‘sta cella è diventata una prigione».
Sarà un docufilm ma appassiona come una pellicola d’autore, coinvolge come un dramma psicologico, tiene inchiodati come un thriller. Fantastici gli attori, in particolar modo Sasà Striano. Ancora una volta i fratelli Taviani sorprendono, consentono la riflessione, mostrano una parte di realtà a noi ignota. Cesare deve morire ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino 2012. Ha vinto cinque premi al David di Donatello 2012, a cui ha partecipato con otto candidature. È attualmente candidato italiano all'Oscar al miglior film in lingua straniera 2013.
Da italiani c’è davvero da esserne orgogliosi.
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Cesare deve morire
docufilm
Regia di Paolo e Vittorio Taviani
Sceneggiatura di Paolo e Vittorio Taviani
Montaggio di Roberto Perpignani
Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
Con: Cosimo Rega, Salvatore Striano, Vincenzo Gallo, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca.
Liberamente ispirato al Giulio Cesare di Shakespeare
Italia, 2012
Sito Ufficiale: https://www.sacherdistribuzione.it/cesare_deve_morire.html
Trailer ufficiale: https://www.youtube.com/watch?v=HdNpnS4LQas